A ciascuna la sua mammografia

A ciascuna la sua mammografia

La mammografia, come è noto, è il test diagnostico su cui si basa il programma di screening nazionale per il tumore al seno nelle donne senza sintomi (dai 45/50 ai 69/74 anni, a seconda delle Regioni), ma è anche il primo esame da fare in caso di sintomi dai 40 anni in poi, come per esempio la comparsa di un nodulo.

Le nuove teconologie in 3D

Ormai da tempo la mammografia è digitale, ma non solo: sempre più spesso è 3D (o tomosintesi). È un esame diagnostico simile alla mammografia tradizionale 2D, ma in grado di catturare, in ogni singola proiezione, più immagini del seno da diverse angolazioni (la classica mammografia 2D, invece, consente di acquisire una sola immagine per ogni proiezione). Le immagini ottenute grazie a questa tecnologia vengono poi ricostruite “a strati” ed assemblate in un’unica immagine ad alta risoluzione dell’intera mammella, aumentando la sensibilità dell’esame, ossia la capacità di mostrare il tumore.

“La mammografia 3D, inclusa anche nelle linee guida dell’associazione italiana di oncologia medica Aiom, è sempre più diffusa nelle nostre Radiologie Senologiche, e sta via via sostituendo la mammografia 2D come primo esame in caso di sintomi”, spiega a Salute Seno Nicoletta Gandolfo, Presidente eletto della Società Italiana di Radiologia Medica e Interventistica (Sirm), coordinatrice della Breast Unit e Direttrice del Dipartimento Immagini della Asl3 Villa Scassi di Genova. 

Sia nella mammografia standard sia in quella 3D si utilizza una bassa dose di raggi X. Attraversando i diversi tessuti, i raggi X sono in grado di restituire delle immagini nelle quali è possibile distinguere la struttura ghiandolare normale da eventuali aree o immagini sospette (noduli, distorsioni, microcalcificazioni, addensamenti asimmetrici).

“Non tutte le mammelle sono uguali per struttura - sottolinea l’esperta -. Tanto più una mammella è costituita da grasso (adiposa), tanto più è facile osservare possibili alterazioni; al contrario, più le mammelle sono ghiandolari, più è difficile evidenziarle, mascherate appunto dalla densità ghiandolare. In questo caso la tomosintesi, cioè la possibilità di visualizzare “strato per strato” le mammelle, seguita dall’ecografia ci aiutano a vedere meglio e di più”. 

Per questo motivo l’ecografia nel seno denso andrebbe preferibilmente eseguita nella stessa visita e, comunque, dallo stesso medico radiologo senologo che ha valutato la mammografia (con o senza tomosintesi). L’ecografia, inoltre, è in grado di valutare meglio il cavo ascellare e mostrare linfonodi “sospetti” che potrebbero essere stati interessati dal tumore, e fornire una guida sicura per poter fare le biopsie.

L’ecografia ha il limite di essere operatore-dipendente, ossia dipende molto dall'esperienza di chi la effettua, ma anche la mammografia lo è, sebbene in misura minore, ed è quindi fondamentale che gli esami vengano eseguiti e refertati da personale esperto e dedicato in centri senologici multidisciplinari. 

“Vederci meglio”: la mammografia con mezzo di contrasto

Tra gli esami che possono migliorare la diagnosi del tumore al seno ce n’è uno di cui si parla ancora poco. È la mammografia con mezzo di contrasto (Cem): si esegue con i mammografi digitali (aggiornati con un software ad hoc) e si svolge in modo simile alla normale mammografia, preceduta dalla somministrazione di un liquido di contrasto a base di iodio (lo stesso che si usa per indagini TC). A che cosa serve? In molti casi può sostituire la risonanza magnetica come esame di secondo livello per dirimere i casi dubbi o per eseguire un’accurata stadiazione della malattia dopo che il tumore è stato accertato con la biopsia. Con alcuni vantaggi, primi fra tutti la facilità di esecuzione e il risparmio dei costi e di tempo prezioso per le pazienti.

“L’importanza della mammografia con mezzo di contrasto ormai è consolidata ed è dimostrata in molte pubblicazioni - riprende Gandolfo -. Ci sono indicazioni ben precise, che sono in moltissimi casi le stesse della risonanza magnetica: per esempio può essere utilizzata per accertare lo stadio del tumore prima dell’intervento chirurgico a livello loco-regionale ed è particolarmente indicata per i tumori lobulari, che possono essere multicentrici e bilaterali, cioè in entrambi i seni, per i quali ecografia e mammografia risultano meno sensibili”.

“Ancora, può essere utile per rilevare la risposta alla terapia neoadiuvante, che si esegue prima della chirurgia nei tumori localmente avanzati – aggiunge Gandolfo -. E potrebbe essere impiegata al posto della risonanza magnetica anche per risolvere i dubbi nel corso dello screening mammografico in donne senza rischio noto. In tutti questi casi l’esame può essere realizzato dal radiologo nel momento stesso in cui sorge il dubbio o, comunque, può essere programmato in tempi sicuramente più brevi di una risonanza, accorciando così i tempi della diagnosi e anticipando le diagnosi. Va specificato che questo esame non possono prenotarlo le pazienti in autonomia, ma è il radiologo a prescriverlo con presa in carico della paziente”.

La mammografia, come è noto, è il test diagnostico su cui si basa il programma di screening nazionale per il tumore al seno nelle donne senza sintomi (dai 45/50 ai 69/74 anni, a seconda delle Regioni), ma è anche il primo esame da fare in caso di sintomi dai 40 anni in poi, come per esempio la comparsa di un nodulo.

Le nuove teconologie in 3D

Ormai da tempo la mammografia è digitale, ma non solo: sempre più spesso è 3D (o tomosintesi). È un esame diagnostico simile alla mammografia tradizionale 2D, ma in grado di catturare, in ogni singola proiezione, più immagini del seno da diverse angolazioni (la classica mammografia 2D, invece, consente di acquisire una sola immagine per ogni proiezione). Le immagini ottenute grazie a questa tecnologia vengono poi ricostruite “a strati” ed assemblate in un’unica immagine ad alta risoluzione dell’intera mammella, aumentando la sensibilità dell’esame, ossia la capacità di mostrare il tumore. 

“La mammografia 3D, inclusa anche nelle linee guida dell’associazione italiana di oncologia medica Aiom, è sempre più diffusa nelle nostre Radiologie Senologiche, e sta via via sostituendo la mammografia 2D come primo esame in caso di sintomi”, spiega a Salute Seno Nicoletta Gandolfo, Presidente eletto della Società Italiana di Radiologia Medica e Interventistica (Sirm), coordinatrice della Breast Unit e Direttrice del Dipartimento Immagini della Asl3 Villa Scassi di Genova. 

Sia nella mammografia standard sia in quella 3D si utilizza una bassa dose di raggi X. Attraversando i diversi tessuti, i raggi X sono in grado di restituire delle immagini nelle quali è possibile distinguere la struttura ghiandolare normale da eventuali aree o immagini sospette (noduli, distorsioni, microcalcificazioni, addensamenti asimmetrici).

“Non tutte le mammelle sono uguali per struttura - sottolinea l’esperta -. Tanto più una mammella è costituita da grasso (adiposa), tanto più è facile osservare possibili alterazioni; al contrario, più le mammelle sono ghiandolari, più è difficile evidenziarle, mascherate appunto dalla densità ghiandolare. In questo caso la tomosintesi, cioè la possibilità di visualizzare “strato per strato” le mammelle, seguita dall’ecografia ci aiutano a vedere meglio e di più”. 

Per questo motivo l’ecografia nel seno denso andrebbe preferibilmente eseguita nella stessa visita e, comunque, dallo stesso medico radiologo senologo che ha valutato la mammografia (con o senza tomosintesi). L’ecografia, inoltre, è in grado di valutare meglio il cavo ascellare e mostrare linfonodi “sospetti” che potrebbero essere stati interessati dal tumore, e fornire una guida sicura per poter fare le biopsie.

L’ecografia ha il limite di essere operatore-dipendente, ossia dipende molto dall'esperienza di chi la effettua, ma anche la mammografia lo è, sebbene in misura minore, ed è quindi fondamentale che gli esami vengano eseguiti e refertati da personale esperto e dedicato in centri senologici multidisciplinari. 

“Vederci meglio”: la mammografia con mezzo di contrasto

Tra gli esami che possono migliorare la diagnosi del tumore al seno ce n’è uno di cui si parla ancora poco. È la mammografia con mezzo di contrasto (Cem): si esegue con i mammografi digitali (aggiornati con un software ad hoc) e si svolge in modo simile alla normale mammografia, preceduta dalla somministrazione di un liquido di contrasto a base di iodio (lo stesso che si usa per indagini TC). A che cosa serve? In molti casi può sostituire la risonanza magnetica come esame di secondo livello per dirimere i casi dubbi o per eseguire un’accurata stadiazione della malattia dopo che il tumore è stato accertato con la biopsia. Con alcuni vantaggi, primi fra tutti la facilità di esecuzione e il risparmio dei costi e di tempo prezioso per le pazienti.

“L’importanza della mammografia con mezzo di contrasto ormai è consolidata ed è dimostrata in molte pubblicazioni - riprende Gandolfo -. Ci sono indicazioni ben precise, che sono in moltissimi casi le stesse della risonanza magnetica: per esempio può essere utilizzata per accertare lo stadio del tumore prima dell’intervento chirurgico a livello loco-regionale ed è particolarmente indicata per i tumori lobulari, che possono essere multicentrici e bilaterali, cioè in entrambi i seni, per i quali ecografia e mammografia risultano meno sensibili”.

“Ancora, può essere utile per rilevare la risposta alla terapia neoadiuvante, che si esegue prima della chirurgia nei tumori localmente avanzati – aggiunge Gandolfo -. E potrebbe essere impiegata al posto della risonanza magnetica anche per risolvere i dubbi nel corso dello screening mammografico in donne senza rischio noto. In tutti questi casi l’esame può essere realizzato dal radiologo nel momento stesso in cui sorge il dubbio o, comunque, può essere programmato in tempi sicuramente più brevi di una risonanza, accorciando così i tempi della diagnosi e anticipando le diagnosi. Va specificato che questo esame non possono prenotarlo le pazienti in autonomia, ma è il radiologo a prescriverlo con presa in carico della paziente”.

Invece - dice ancora Gandolfo - a livello scientifico si sta discutendo il suo impiego nello screening per le donne a rischio medio ed elevato: per esempio in chi è portatrice di mutazioni genetiche (Brca), in chi ha un seno denso, in chi ha già avuto in passato un tumore o lesioni ad alto rischio. In questi casi i protocolli prevedono l’uso della mammografia e della risonanza magnetica e non abbiamo ancora numeri sufficienti per affermare che la Cem possa sostituire queste metodiche, ma si sta andando in questa direzione. 

Ma l’esame non è nei Lea

“I mammografi digitali possono essere facilmente implementati per la Cem, in particolare quelli che si stanno acquistando ora grazie anche ai fondi del Pnrr, e sono molto più diffusi e accessibili delle apparecchiature per la risonanza magnetica, che prevede una procedura più lunga e complicata - sottolinea la radiologa -. La risonanza magnetica potrebbe, quindi, essere riservata alle lesioni molto complesse per osservare le strutture muscolari e ossee, ma fortunatamente questi casi sono una minoranza”.

Inoltre, la Cem viene accolta più favorevolmente dalle donne. Ma allora perché è così poco utilizzata? “Perché questa prestazione non è nei Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr.) - risponde -. Non essendo nel nomenclatore, non abbiamo un codice e una tariffa per riconoscere questo esame. Per ovviare, alcune Regioni si stanno attivando per poter fornire dei codici regionali (Cur)”. L’Emilia Romagna, la Toscana, la Lombardia, la Sardegna e il Veneto si sono già mosse, mentre tra le prossime potrebbe esserci la Liguria, dove la richiesta è stata portata avanti anche dalle associazioni territoriali.

“Come associazione ci affianchiamo ai clinici e alle società scientifiche nel sostenere l’introduzione della mammografia con mezzo di contrasto, che ha tempi di esecuzione inferiori, è meno rumorosa ed è reputata meno ansiogena dalle pazienti - riferisce a Salute Seno Deliana Misale, delegata nazionale e referente per la Liguria di Noicisiamo - Associazione Italiana Tumore al Seno Metastatico -. La proposta era stata anticipata in presenza dell’assessore alla Sanità ad ALIsa alla Rete Oncologica, lo scorso ottobre, e confidiamo che venga discusso a breve, come tutte le richieste del documento. A livello nazionale però - dice Misale - ci preme sottolineare l’importanza di offrire questa possibilità in più di diagnosi accurata a tutte le pazienti, e che non diventi un ulteriore esempio di disuguaglianza nel diritto alla cura”.

Gli altri test di approfondimento

Sulla base delle caratteristiche del tumore e dei risultati della biopsia, il team multidisciplinare può stabilire se sono necessari altri esami radiologici e di medicina nucleare. Di solito queste indagini vengono eseguite nei tumori a rischio medio o elevato, soprattutto del tipo triplo negativo ed HER2 positivo, o quando c’è il sospetto che il tumore si sia diffuso in altri organi. In questi casi si ricorre prima di tutto ad ecografie e Tac addominale, toracica e cerebrale per verificare o escludere la presenza di metastasi. Per ulteriori approfondimenti possono essere aggiunti la scintigrafia ossea e la Pet/TC.

Fonte:  https://www.repubblica.it/salute/dossier/saluteseno/2024/01/19/news/seno_esami_mammografia-421918811/


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